Caro Veltroni,
ti scrivo. Ti scrivo perché tu ci scrivi spesso, mentre io l’ho fatto solo un’altra volta in due anni e mi sembra corretto ricambiare la cortesia.Ma non è, questa, una lettera amichevole. Caro Veltroni, ti scrivo infatti per chiederti conto delle tue promesse, di quelle che hai fatto ad una platea di ragazzi diciannovenni in una soleggiata giornata d’autunno di otto anni fa.
Cerco di mettere a fuoco i ricordi: dopo lezione (era l’inizio del primo anno di università, ed eravamo ancora piuttosto ligi), saltai sul motorino di un mio nuovo compagno e andammo in quella sala sul retro della vecchia Fiera di Roma dove si svolgeva la “premiazione” a cura del Sindaco dei giovani romani diplomatisi col massimo dei voti l’anno precedente.Fu un bella giornata. Una di quelle iniziative con cui, da primo cittadino, cercavi di trasmettere a tutti il senso di appartenenza ad una comunità, e di promuovere valori positivi, ma in disuso, come lo studio e l’impegno.
Facesti un bel discorso, motivante.Ho ricordi affastellati: la “gioia” di O. a scoprire che il premio veniva distribuito a partire dalla lettera “P”, i pasticcini al buffet sul retro della sala, mi ti presentano e ti stringo la mano, la tua firma sul premio, una bella litografia di villa Borghese, proprio sotto alla firma dell’artista. È ancora appesa davanti al mio letto, pietra alla memoria di quella giornata e di un’altra epoca.
Del tuo discorso ricordo che parlasti molto di te, del tuo desiderio di fare della politica un impegno, una missione di servizio piuttosto che una carriera professionale. Ci dicesti, ci promettesti che alla fine del tuo (secondo) mandato di Sindaco avresti abbandonato la scena politica italiana per andare in Africa ad occuparti come volontario dei molti e gravissimi problemi di quello sfortunato continente.
Per me, diciannovenne di belle speranze, iscritto al tuo stesso partito da poco più di un anno, Prodiano, anzi Prodista di formazione, fu, in quel 2002 sotto il segno di Berlusconi, una boccata di ossigeno. Tornai a casa entusiasta.
(Qui, a scanso di equivoci, ti comunico che una recente visita otorinolaringoiatrica ha confermato l’ottimo stato di salute delle mie orecchie e che degli accadimenti di quella giornata ho testimoni e prove materiali).
Ora, negli ultimi otto anni ti ho viso fare (bene) il sindaco di Roma, fondare un nuovo partito, farti eleggere (grazie a noi) alla sua guida, fare (male) il sindaco di Roma, lasciare la mia città alla destra, candidare la figlia di un tuo amico come segno di attenzione ai giovani, pubblicare libri, portare il tuo nuovo partito al disastro, mentire sui numeri percentuali del risultato elettorale a mesi di distanza dalle elezioni, investire nell’immobiliare manhattanese, recitare monologhi in teatro.
Solo non ti ho mai visto ad un congresso dell’organizzazione giovanile del tuo partito nella città di cui eri sindaco, né tener fede alla tua promessa di volontariato in Africa
.Vorrei ora ricordarti che il principale criterio di valutazione pubblica degli uomini politici in quei paesi, democratici e non, dove essi chiedono il consenso popolare è “hanno tenuto fede alle promesse?”.
Ti chiedo dunque di farlo, di abbandonare (almeno per un po’) la politica italiana ed impegnare le tue energie per gli alti obiettivi che tu stesso ci indicasti.Fallo, Veltroni, te ne prego, almeno per rispetto del diciannovenne ancora un po’ ingenuo che ero.Ti lascio con tre versi di un cantante e poeta molto amato dalla mia generazione, Franceco De Gregori:
Ognuno è fabbro della sua sconfitta
E ognuno merita il suo destino
Chiudi gli occhi e vai in Africa, Celestino
Stammi bene e in salute,
Simone Liuzzi